• Di Biase - Ronchetti
  • Di Biase - Ronchetti
  • Di Biase - Ronchetti

News

Fisco - È illegittima la fattura generica

Con sentenza 22 luglio 2016, n. 15177 la Suprema Corte, Sez. Trib., ha statuito che in tema di IVA, una fattura che in un'unica descrizione accorpi attività dai contenuti più disparati non consente d'identificare l'oggetto della prestazione, di cui deve indicare natura, qualità e quantità, e non risponde alle finalità di trasparenza e conoscibilità di cui all'art. 21 DPR n. 633/1972, funzionali alle attività di controllo e verifica dell'Amministrazione finanziaria, sicché comporta l'irrogazione di sanzione ai sensi dell'art. 9 D.Lgs n. 471/1997.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale, confermando la decisione della Commissione Territoriale Provinciale, riteneva che le fatture, delle quali l’Ufficio aveva contestato la genericità, trovassero riscontro nella documentazione allegata dalla contribuente, che comprovava la tipologia della spesa e l'inerenza rispetto all'attività societaria.

La Suprema Corte, nel cassare la sentenza della CTR, ha osservato che, poiché la norma di cui all’art. 21 DPR n. 633/1972 prescrive, tra l'altro, che "la fattura ... deve contenere ... natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell'operazione", le espressioni usate dal legislatore alludono certamente (anche) al "titolo" determinativo della cessione di beni o della prestazione di servizi, la cui indicazione è indispensabile per la corretta applicazione dell'imposta sul valore aggiunto e per l'esercizio dei relativi controlli previsti dalla legge.

L'indicazione del "titolo" del corrispettivo fatturato risulta, comunque, determinante nei casi in cui con esso si intenda documentare un costo, una spesa od un onere che si pretenda dedurre come componente negativa del reddito dichiarato, dovendo quindi la stessa fattura consentire di individuare con chiarezza l'operazione cui la fattura fa riferimento, essendo la documentazione eventualmente prodotta dal contribuente idonea solo a supportare sul piano documentale e probatorio l'indicazione riportata in fattura, ma non potendo invece supplire alle eventuali carenze o genericità.

La Suprema Corte ha, quindi, ritenuto di dover dare continuità a tale principio di diritto che ha anche di recente trovato conferma nella giurisprudenza della Corte, secondo la quale in tema d'IVA, una fattura che in un'unica descrizione accorpi attività dai contenuti più disparati (nella specie, attività materiali di trasporto e magazzinaggio, attività d'ordine di tenuta contabilità, attività ad alto contenuto di professionalità di promozione vendite ed attività generiche di "marketing") non consente d'identificare l'oggetto della prestazione, di cui deve indicare natura, qualità e quantità, e non risponde alle finalità di trasparenza e conoscibilità di cui all'all'art. 21 DPR n. 633/1972, ragion per cui deve essere irrogata la suddetta sanzione.