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Violazione della corrispondenza - E' reato l'apertura della posta indirizzata al coniuge separato

Con la sentenza 3 maggio 2016, n. 18462 la Suprema Corte ha affermato che è responsabile del reato di violazione della corrispondenza quel coniuge che apre la posta diretta all'altro che non vive più nella casa familiare. Il tema affrontato dalla Corte Suprema riguarda la configurazione del reato ex art. 616 c.p. in tema di violazione della corrispondenza tra coniugi.

Nell'esaminare la vicenda, la Suprema Corte ha ritenuto corretto e privo di vizi logici il percorso argomentativo seguito dalla Corte di Appello di Milano, che aveva confermato la condanna dell'imputato in ordine al reato di violazione di corrispondenza di cui all'art. 616 c.p.

 

Difatti, in merito alla prima doglianza del ricorrente circa l'assenza di evidenze tese a provare la sussistenza del dolo generico, era stato correttamente osservato nella sentenza impugnata come la fattispecie delittuosa in esame integrasse l'ipotesi del primo comma dell'art. 616 c.p. e che, pertanto, ai fini della prova dell'elemento soggettivo del dolo, fosse sufficiente la consapevolezza di aver preso coscienza del contenuto della corrispondenza diretta ad altri.

 

Nel caso in esame, F. aveva riconosciuto di aver aperto la missiva indirizzata alla propria moglie consapevolmente e non per un mero errore. La Corte di Cassazione, quindi, ha ritenuto che la prova del dolo generico fosse stata puntualmente individuata dalla Corte milanese.

 

Inoltre, la Corte ha ritenuto infondata anche la seconda censura mossa dal ricorrente alla sentenza d'appello, che si fondava sul mancato riconoscimento della scriminante dell'aver agito sul presupposto del consenso dell'avente diritto. Secondo la Corte il ricorrente aveva omesso di considerare un elemento fattuale decisivo posto a fondamento della sentenza impugnata, ovvero che un mese prima che giungesse la missiva, la moglie aveva comunicato al marito tramite posta elettronica il nuovo recapito presso il quale indirizzare la corrispondenza a lei diretta. Tale circostanza dimostrava il fatto che il presunto consenso della moglie all'apertura della comunicazione a Lei indirizzata non potesse essere desunto in alcun modo dal marito.