Privacy: incombe sul titolare del trattamento l’onere della prova del valido consenso
La Corte di Giustizia UE, con sentenza dell'11 novembre 2020, nalla causa C-61/19, ha affermato che in un contratto di fornitura di servizi di telecomunicazione contenente una clausola secondo cui il cliente ha acconsentito alla raccolta e alla conservazione del suo documento di identità, lo stesso non può dimostrare che il consumatore abbia prestato il suo consenso, se la casella sia stata selezionata dal responsabile del trattamento prima della sottoscrizione del contratto. La Corte precisa anche che l’onere della prova dell’esistenza di un valido consenso incombe al titolare del trattamento.
La questione, sollevata dal Tribunale superiore di Bucarest, trae origine da una controversia tra un fornitore di servizi di telecomunicazione e l’Autorità nazionale di sorveglianza del trattamento dei dati personali (ANSPDCP) in merito agli obblighi del primo nell’ambito di un negoziato contrattuale con un cliente in relazione alla produzione e alla conservazione di copie di un documento di identità.
Secondo la Corte, posto che le disposizioni applicabili prevedono che la persona interessata proceda ad una “manifestazione di volontà” al fine di fornire “in maniera inequivocabile” il suo consenso, ne deriva che solo un comportamento attivo da parte di tale persona consente di manifestare il proprio consenso. Pertanto, il consenso non è validamente prestato in caso di silenzio, di caselle preselezionate o di inattività. Inoltre, qualora il consenso dell’interessato sia prestato nel contesto di una dichiarazione scritta che riguarda anche altre questioni, la dichiarazione deve essere presentata in forma comprensibile e facilmente accessibile ed essere formulata in un linguaggio semplice e chiaro.
In relazione al caso di specie, la Corte Ue precisa che, poiché l’Orange România è la responsabile del trattamento dei dati, è necessaria l’esistenza di un valido consenso prestato dai suoi clienti. A tal proposito, sebbene i contratti in questione contengano una clausola secondo la quale i clienti interessati sono stati informati e hanno manifestato il loro consenso alla conservazione di una copia del loro documento d’identità a fini identificativi, la casella relativa a tale clausola era già stata selezionata dagli agenti di vendita dell’Orange România prima che tali clienti procedessero alla firma recante accettazione di tutte le clausole contrattuali, ossia tanto di detta clausola quanto di altre clausole non connesse alla protezione dei dati. Pertanto, spetta al giudice nazionale effettuare le necessarie verifiche per accertare una manifestazione positiva del consenso. Secondo la Corte Ue, spetta parimenti al giudice nazionale valutare se le clausole contrattuali potessero o meno indurre i clienti interessati in errore circa la possibilità di stipulare il contratto nonostante il rifiuto di acconsentire al trattamento dei propri dati, in assenza di precisazioni su tale punto.
In ultimo, la Corte ha richiamato quanto statuito all'art. 7 del GDPR, ovvero che qualora il trattamento sia basato sul consenso, il titolare deve essere in grado di dimostrare (onere della prova) che l’interessato ha prestato il proprio consenso al trattamento dei propri dati personali.